La rivoluzione silenziosa del Disability Management
Nel panorama attuale delle organizzazioni, siano esse pubbliche o private, il tema della disabilità non può più essere affrontato come una mera questione di adempimenti normativi o di sensibilità sociale.
Siamo in presenza di un cambiamento di paradigma che richiede una ridefinizione profonda del modo in cui le imprese e le pubbliche amministrazioni pensano, strutturano e vivono l’inclusione.
In questo contesto, la figura del Disability Manager non rappresenta solo una risorsa tecnica o consulenziale, ma un vero e proprio architetto dell’inclusione strategica, capace di armonizzare le esigenze dell’organizzazione in linea con il benessere delle persone con disabilità.
L’approccio odierno
Oggi, molte imprese affrontano il tema della disabilità con un approccio ancora troppo difensivo, vincolato all’obbligo normativo dell’assunzione di una percentuale di lavoratori appartenenti alle categorie protette. Questo approccio porta inevitabilmente a due effetti collaterali: da un lato, una certa superficialità nella selezione e gestione di questi lavoratori, e dall’altro, un vissuto da parte dei diretti interessati che li fa sentire più un peso che una risorsa.
L’assunzione per obbligo, se non viene gestita con visione, può rischiare di diventare un boomerang culturale e organizzativo.
Per superare questo stallo è necessario adottare una visione più evoluta e strategica, nella quale la disabilità venga vista come una delle tante espressioni dell’unicità umana e non come un’anomalia da integrare.
Il concetto di inclusione diventa allora un asse identitario, non più solo un atto di equità, ma un vantaggio competitivo tangibile. Le aziende e le pubbliche amministrazioni che sapranno trasformare la presenza di lavoratori con disabilità in un’opportunità di crescita collettiva saranno anche quelle più resilienti e innovative.
In questa trasformazione, il Disability Manager deve essere pensato non come un gestore amministrativo del collocamento mirato, ma come un Process Owner dell’inclusione. La sua missione principale è quella di ridurre al minimo l’impatto organizzativo legato all’inserimento o alla permanenza di una persona con disabilità nei processi aziendali, trasformando un potenziale vincolo in leva di miglioramento dei processi stessi.
Per riuscire in questo intento, occorre un cambio di prospettiva profondo: non si tratta di adattare le persone disabili ai processi esistenti, ma di ridisegnare i processi con un’intelligenza inclusiva che preveda la variabilità umana come componente costitutiva, non come eccezione.
Il Modello RCMS
In questo contesto il modello RCMS (Reti, Connessioni, Management, Strategia), illustrato in diverse parti del progetto Disegno di Impresa, offre una chiave di lettura particolarmente efficace. Questo modello non si limita a rappresentare una struttura organizzativa, ma una filosofia di governance che integra flessibilità, adattamento, connessione e risposta situazionale.
Applicare il RCMS al Disability Management significa costruire un sistema nel quale ogni nodo organizzativo è interconnesso con tutti gli altri, rendendo il cambiamento non solo possibile, ma naturale.
In particolare, possiamo immaginare una strategia vincente di inclusione costruita sui quattro asset fondamentali, in coerenza con il modello RCMS:
1) Rete:
il Disability Manager agisce come facilitatore di una rete interna che include non solo i diretti interessati, ma anche HR, Process Owner, ICT e Facility Management. Tutti devono essere coinvolti in un’ottica collaborativa e partecipativa. La disabilità non è un affare del singolo, ma dell’intero ecosistema organizzativo.
2) Connessione:
l’inclusione non può avvenire in modo isolato. È necessaria una comunicazione fluida, empatica e continua. Questo significa adottare una cultura del feedback trasparente, uno stile di comunicazione che valorizzi le emozioni e che sia capace di far sentire ogni lavoratore parte di un progetto comune, come già suggerito negli articoli sulla cultura aziendale e sull’intelligenza emotiva (Cultura aziendale come vantaggio competitivo) (Intelligenza emotiva in azienda).
3) Management:
la gestione della disabilità non può essere improvvisata. Servono strumenti precisi, analisi delle competenze, una formazione mirata e l’integrazione dei nuovi assunti nei processi organizzativi attraverso un piano di onboarding personalizzato e continuo (Mantra formazione post-assunzione). Anche le Unità Dinamiche Organizzative (UDO) descritte nel Framework RCMS possono tornare utili per facilitare un’integrazione flessibile e strategica (Settore ICT e nuovi scenari politici).
4) Strategia:
l’inclusione deve diventare parte integrante della strategia aziendale. Non può essere relegata a un’iniziativa CSR (Corporate Social Responsibility), ma deve entrare nei KPI, nella mappa dei processi, nella progettazione dei ruoli. Le aziende che sapranno leggere la diversità come un valore si troveranno a beneficiare di una cultura organizzativa più “responsive”, innovativa e autenticamente umana (Cultura aziendale come vantaggio competitivo) (Sostenibilità e responsabilità sociale di impresa).
Per ottenere tutto questo, è indispensabile un lavoro sulla percezione interna della disabilità. L’obiettivo finale deve essere che la persona disabile non venga più identificata per la sua condizione, ma per il suo contributo. L’assunto deve diventare: “Sei qui non perché la legge lo impone, ma perché sei la persona giusta per questo ruolo.”
Human Design System e competenze trasversali
È qui che entra in gioco anche l’adozione di strumenti come lo Human Design System e le analisi delle competenze trasversali, che permettono di individuare, fin dalle prime fasi del recruiting, le predisposizioni più naturali e armoniche di ogni persona, disabile o meno (Le 16 competenze trasversali). Questo approccio consente di costruire un clima aziendale più autentico, fondato sul riconoscimento dei talenti e non sulle etichette.
In conclusione, possiamo affermare che il Disability Management non è più un’opzione accessoria, ma un punto nevralgico delle politiche organizzative moderne.
Solo ripensandolo in chiave sistemica, strategica e umano-centrica potremo ottenere un’inclusione che faccia bene a tutti: all’organizzazione, ai suoi processi, alle sue performance e – soprattutto – alle persone.
È tempo di fare del Disability Manager un vero alleato del cambiamento culturale e organizzativo, capace di traghettare le nostre aziende verso un futuro dove la diversità sia non solo accolta, ma desiderata, coltivata e valorizzata come uno dei più preziosi asset dell’impresa.